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Perchè alcune magie seppur banali sono vere... Credo fermamente al potere magico di un sorriso che ci viene donato gratuitamente ed...

29 marzo 2008

Scommettere sul Sud

"Per ripartire l'Italia ha bisogno del Mezzogiorno". Intervenendo davanti alla platea di un teatro Odeon di Reggio Calabria gremito, il segretario Walter Veltroni ha presentato il disegno di legge sul Mezzogiorno che verrà portato in Consiglio dei ministri in caso di vittoria elettorale del Partito Democratico.

Scuola, infratrutture, lotta a tutte le mafie. Questi alcuni dei punti chiave delle proposte del PD per il Sud, motore dal quale deve partire la rinascita di tutto il Paese. Conferire forza al Mezzogiorno vuol dire dare forza a tutta l'Italial. Occorre creare le condizioni per un vero sviluppo del Sud, per fare in modo che i giovani, grande risorsa di queste terre, non siano costretti ad emigrare al Nord o all'estero per lavorare e liberare le proprie energie.

La precondizione per fare in modo che questo possa succedere è una lotta senza quartiere alla mafia, la 'ndrangheta, la camorra. "Le associazioni criminali - ha detto il leader del Pd - devono sapere che se il Partito Democratico governerà l'Italia cercherà di distruggere quelle forze che impediscono a queste terre di esprimere tutta la loro energia".

Più infrastrutture, a cominciare dalla realizzazione della Salerno-Reggio Calabria, potenziamento dei trasporti. E poi impresa: dall'accesso al credito di imposta fino alla formazione con una scuola d'eccellenza per i giovani aspiranti manager. Sono le proposte per il Mezzogiorno avanzate dal Partito democratico e messe nero su bianco sulla proposta di legge 'Scommettere sul Sud', presentata oggi a Reggio Calabria dal parlamentare democratico Michele Ventura e dal leader del Pd Walter Veltroni.

"Bisogna monitorare - spiega Ventura, illustrando gli articoli della proposta di legge - e controllare che siano rispettati i tempi di realizzazione della Salerno-Reggio Calabria, già interamente finanziati". Poi bisogna spingere su l'alta velocità e i collegamenti internazionali: "Bisogna realizzare l'alta velocità ferroviaria tra Napoli e Bari e le infrastrutture connesse al corridoio europeo Berlino-Palermo". Ancora, "va ammodernata la strada statale 106 che unisce Taranto a Reggio Calabria".

Oltre a prevedere un piano di innovazione generale per il Mezzogiorno, come l'estensione della banda larga in tutto il Sud, la proposta del PD punta sulle imprese, spingendo l'acceleratore su competitività, possibilità di accesso e formazione. Tra le misure ipotizzate, l'aumento del credito d'imposta per chi fa investimenti, ricerca e innovazione con "una forma di incentivazione automatica e non lasciata alla discrezionalità". Si pensa poi di dare il via, sulla base del modello francese, alle "zone franche urbane", oltreché a una scuola di alta formazione manageriale, "una sorta di Bocconi del Sud per creare le classi dirigenti del futuro".

"Bisogna mettere il turbo a questo Paese", ha commentato Veltroni, spiegando di volere "un Paese più semplice, dove si riducono le norme e le infrastrutture si fanno nei tempi dati: oggi ci vogliono mille e cento giorni per avere una valutazione di impatto ambientale, noi vogliamo che bastino tre mesi". Per il leader del Pd, "abbiamo bisogno di recuperare competitività" anche rispetto agli altri Paesi europei. Ma per crescere e rimanere unito, questo Paese ha bisogno che il suo Sud cresca più velocemente: "Il Nord non può continuare ad essere la locomotiva del Paese. Il Pd sarà garante dell'unità del Paese. Il federalismo fiscale - rassicura Veltroni - non significa spaccare il Paese, si può far crescere il Nord e nello stesso tempo far ripartire il Sud".

22 marzo 2008

Alitalia

E se la crisi alitalia fosse voluta dalle banche e dai suoi camerieri (politici) per spremere soldi pubblici?

Che i temi economici non siano seriamente all’ordine del giorno di questa campagna elettorale lo si capisce seguendo la vicenda Alitalia/Malpensa

Solo proposte elettoralistiche e grandi slogan, Veltroni e Berlusconi si tengono alla larga da una discussione seria sulle politiche economiche strategiche per il paese. Perché in Italia non c’è più una classe dirigente in grado di comprendere gli scenari economici e di mettere sul piatto proposte per affrontarli.

Nel mondo si profila una recessione di enorme portata, la più grave dal dopoguerra ad oggi, dicono autorevoli economisti americani, determinata dalle follie della finanziarizzazione dell’economia globale fondata sul debito e sulla spasmodica ricerca di liquidità. La deregulation è alle corde, la Fed per la prima volta interviene a salvare grandi colossi bancari. La bolla dei mutui subprime, i colossali conflitti d’interesse intercapitalistici, le obbligazioni delle aziende che dall’oggi al domani diventano carta straccia, controllori che si girano dall’altra parte, i piccoli risparmiatori sempre truffati, i grandi manager che si salvano sempre con buone uscite milionarie, i lavoratori obbligati ad usare i fondi pensioni privati, le famiglie costrette ad accendere mutui senza poterli garantire.
In tanti iniziano a capire che non si può andare avanti così. Ma non sanno come uscirne, intrisi come sono della cultura neolibersita.

Veltroni e Berlusconi rispondono a questo scenario con uno spiazzante teorema: arriva la crisi globale, passeremo un periodo difficile. Traduzione: l’economia andrà male nel mondo, ci sarà una crisi gravissima in Italia, ma non sarà colpa nostra. Una posizione difensiva, di chi non si vuol assumere responsabilità, ma soprattutto di chi non sa più che pesci pigliare.
Una volta i liberisti aspettavano le crisi economiche più gravi come una santa manna dal cielo. Perché potevano intervenire con terapie shock, dosi massiccie di neoliberismo, senza incontrare alcuna resistenza, vendendo le loro ricette come le uniche possibili per uscire dalla crisi.
Oggi in Italia, quelli che hanno accettato tutte le compatibilità del mercato, non hanno più nemmeno un progetto (seppure di destra), sono allo sbando. Perché in Italia il capitalismo è talmente malato che vive ormai solo di conflitti d’interesse, intrecci tra aziende e banche, con una logica che porta tutti a stare sul tanto declamato mercato senza assumersi alcun rischio, e scaricando sempre sui lavoratori i costi dei loro danni.

Facciamo qualche esempio? Allora torniamo a Malpensa. Il centrodestra, alfiere del liberismo italiano, ha almeno quattro posizioni diverse. Berlusconi per giorni ha taciuto (conta di più la campagna elettorale), Fini prima apre ad Air France poi fa una mezza marcia indietro, Formigoni propone una moratoria (come se l’imminente fallimento di Alitalia potesse essere messo in pausa), Letizia Moratti (il Comune di Milano è azionista di maggioranza della Sea, la società che gestisce Malpensa) ha chiesto 1,2 miliardi di euro di danni spalleggiata dalla Lega e dal presidente della Sea (Bonomi, leghista, già capo di Alitalia durante il governo Berlusconi, cioè negli anni in cui i conti di Alitalia sono andati a carte quarantotto). Quattro posizioni diverse, molto bipartisan però. A Moratti e Lega il fallimento di Alitalia non interessa, purché si rilanci Malpensa (un progetto folle, nato sbagliato e voluto da loro). Di Pietro, di fatto, sta con Bonomi e con Moratti. Veltroni? Con Air France, ma anche con Malpensa, con Roma, ma anche con Milano.

Avete voluto il libero mercato? Queste sono le conseguenze, verrebbe da dire.
La classe dirigente del paese senza più alcuna visione economica, senza alcun progetto. Tutti a guardare a interessi di bottega, tutti a farne una questione di nord contro Roma, a rilanciare il derby Italia/Francia, a cercare di lasciare il cerino della decisione in mano a qualcun altro perché nessuno si vuole bruciare in campagna elettorale.
E la sinistra? Noi abbiamo posto con forza l’enorme problema occupazionale: quasi ottomila esuberi tra Alitalia e Malpensa. Giusto. Abbiamo anche detto che lo stato potrebbe farsi carico del salvataggio della compagnia di bandiera. Ma la verità è che, giunti a questo punto, una proposta che salvi capra e cavoli (Alitalia, Malpensa e i lavoratori) non ce l’ha nessuno.
Forse potremmo iniziare a ragionare non più sull’italianità delle aziende (che non può essere, per la sinistra, il surrogato della proprietà pubblica), ma su una dimensione europea dei problemi economici, tornando a dire con forza che se la politica rinuncia alla supremazia sull’economia è un danno per tutti e che lo spazio geografico su cui inserire questo ragionamento è quello europeo, non più quello nazionale, sempre proponendo con forza soluzioni alternative al pensiero unico neoliberista.
In Italia, invece, il veltrusconi discute ancora sulla concorrenza tra Roma e Milano. Tutti a rincorrere i deliri della Lega, mentre si distruggono i posti di lavoro e i diritti.

Francesco Francescaglia

20 marzo 2008

Dal sito del PD

Chi promette e chi fa
“C’è chi taglia i costi della politica e chi lancia accuse volgari e astiose”. Le parole di Goffredo Bettini in occasione della conferenza stampa convocata presso la sede nazionale del PD per illustrare le proposte per abbattere i costi della politica non lasciano spazio a dubbi. In merito alle accuse rivolte a Walter Veltroni da Gianfranco Fini a proposito dell’indennita percepita in quanto ex parlamentare europeo Bettini ha parlato di un “attacco personale pienamente ascrivibile nell’orizzonte, nel modus operandi, della destra, un atteggiamento fatto di invettive ed accuse infamanti”.

L’indennità di Veltroni e le parole di Fini. Tre cose da sapere

In merito alle accuse rivolte a Walter Veltroni dal segretario di AN a proposito dell’indennità percepita in quanto ex parlamentare europeo Bettini ha parlato di un “attacco personale pienamente ascrivibile nell’orizzonte della destra, un atteggiamento fatto di invettive ed accuse infamanti”.



1. La somma di questo trattamento più lo stipendio da sindaco della capitale è pari a circa la metà di quanto ha percepito per anni l’onorevole Fini come parlamentare, vice premier e ministro.



2. Quell’indennità Walter Veltroni non l’ha mai voluta, ma quando gli fu detto che ciò non era possibile per legge, decise di devolverla in beneficenza. 2)Con le sue risorse, in questi anni il segretario del Pd ha finanziato più di centomila euro per progetti e associazioni del volontariato. Nella fattispecie, 25 mila euro alla Caritas, 25 mila a Sant’Egidio, 25 mila all’Amref per una scuola in Africa, 25 mila per un progetto di sostegno a ragazzi autistici.

3) Come ha detto Bettini “Fini ha avuto gli stessi incarichi di Veltroni è stato ministro e vicepresidente del consiglio dei ministri,ma sul piano personale l’onorevole Fini ha fatto le stesse cose? C’è chi lavora per migliorare lo Stato in cui viviamo è chi, invece, vuole perpetrare uno status quo che non fa bene a nessuno se non alle solite classi privilegiate. La differenza tra il Pd e il Pdl è anche nello scarto tra le promesse del marinaio e la certezza dei fatti. Fini sui costi della politica ha rifiutato la possibilità di avviare una discussione sobria, matura e bipartisan della quale ne avrebbe beneficiato l’intero Paese”.



Le proposte di Veltroni e del PD prevedono il taglio degli stipendi dei parlamentari nel momento in cui la crisi economica aumenta sempre di più il divario tra gli stipendi delle persone e quanto percepiscono i loro rappresentanti. Come? Con la riduzione dei partiti e dei parlamentari, con la cancellazione di quell’anomalia secondo la quale il finanziamento pubblico ai partiti riguarderebbe anche quei soggetti politici che non hanno superato la soglia di sbarramento e perciò non hanno una rappresentanza in parlamento,e ancora con la riforma sostanziale dei regolamenti del Parlamento a causa dei quali proliferano i gruppi parlamentari. Tutit punti del programma di governo come anche la proposta di adottare il metodo contributivo anche per le pensioni dei parlamentari.

Come ha spiegato Ermete Realacci “a febbraio, ci siamo opposti al voto anticipato per modificare i regolamenti parlamentari. Con questa semplice riforma avremmo calmierato i costi e avremmo dato stabilità alla futura legislatura, ma c’è stato impedito. La legislatura ha rappresentato un momento di rottura nei confronti delle politiche del centrodestra. È la prima volta che la Camera e il Senato hanno chiuso il loro bilancio con un segno meno. Ma siamo consapevoli che c’è tanto da fare”.”.

E il vicecapogruppo al Senato del PD, Luigi Zanda, ricorda il lavoro avviato dal governo Prodi, che in soli venti mesi è riuscito a ridurre la spesa corrente.

I tagli in Parlamento:

30% in meno delle spese complessive per ministri e sottosegretari;

30% in meno, rispetto al governo precedente, per le spese dei voli di Stato;

riduzione del numero dei ministeri a dodici;

riduzione del 20% dei compensi per i Commissari straordinari di governo.

Grazie alla riforma dei vitalizi dei parlamentari non sarà più possibile percepire la pensione dopo soli due anni e mezzo, ma ce ne vorranno almeno cinque.

I tagli per la Pubblica amministrazione:

30% in meno per le spese di organi monocratici e collegiali;

10% in meno per incarichi di consulenza, rispetto a quanto previsto dalla legge finanziaria del 2006; fissazione di un tetto per gli stipendi dei manager

razionalizzazione dei costi delle comunità montane,

riduzione del tetto massimo di assessori e consiglieri nei comuni (con popolazione superiori a 100.000 ab.).



Le promesse di AN.

Bettini ha ricordato la “solenne” dichiarazione fatta dall’onorevole Fini alla Camera dei Deputati il 12 marzo del 1999 contro il finanziamento pubblico ai partiti: “Noi incasseremo 15-20 miliardi dopo il voto e copriremo le nostre spese con 800 lire a voto, va da sé che se si prendono 6 milioni di voti, moltiplicati per 800 lire si arriva a 4 mld e 800 milioni, quindi restano circa 15 miliardi. Una parte di questi sarà dedicata all’attività del comitato per il referendum (per l’abolizione della legge suddetta) ed un’altra parte… servirà a finanziare iniziative destinate alla vita, alla sicurezza e alla solidarietà”.

Ma come ha ricordato Bettini “di tutto questo non c’è traccia se non nei verbali della Camera, quindi da quale pulpito Fini ci accusa di imbrogliare gli Italiani?

13 marzo 2008

FERNANDO LUGO, E SE IL CAMBIO ARRIVASSE IN PARAGUAY?

Gennaro Carotenuto
(12 marzo 2008)

Il Partito Colorado, destra, governa quasi ininterrottamente il Paraguay dal 1887. Ma anche nel paese più remoto del continente, il prossimo 20 aprile, potrebbe soffiare il vento del cambio. In testa a tutti i sondaggi infatti c’è l’ex vescovo cattolico Fernando Lugo, teologo della liberazione e che sogna il socialismo.
Lunedì 10 Fernando Lugo si è incontrato a Buenos Aires con Cristina Fernández in un clima amichevole. Cristina, reduce da Santo Domingo, lo ha trattato da amico e futuro alleato. Subito dopo Lugo ha ottenuto un’altra investitura che in America latina conta, quella di Hebe de Bonafini e delle Madri di Plaza de Mayo. Quindi Lugo si è riunito con la comunità guaraní a Buenos Aires. I paraguaiani in Argentina, soprattutto nel Gran Buenos Aires, sono almeno un milione (un settimo della popolazione totale del Paraguay) dei quali appena un quarto residenti legali. Cristina Fernández si è impegnata a favorirne il viaggio in un’agenda bilaterale nella quale Lugo ha promesso all’Argentina e al Brasile compensazioni per l’annunciata nazionalizzazione delle risorse idroelettriche del paese che è uno dei punti qualificanti del suo programma. Dalla mobilitazione dei paraguayani in Argentina, e dalla loro possibilità anche economica di tornare a casa per votare, dipendono molte delle speranze che la coalizione di sinistra (Alleanza Patriottica per il Cambiamento, APC) possa mandare finalmente all’opposizione il Partito Colorado che fu del dittatore Alfredo Stroessner, e portare alla presidenza questo ex-vescovo cattolico di 56 anni, che studiò sociologia a Roma e che dopo aver cercato di collocarsi politicamente al centro, ha connotato sempre più a sinistra la propria candidatura. La partita ad Asunción di qui al 20 aprile è apertissima. L’ex-vescovo nei sondaggi ha il 35% dei voti. Lo seguono la candidata ufficiale del Partito Colorado, Blanca Ovelar, con il 23% e il candidato colorado indipendente, il controverso ex capo delle Forze Armate Lino Oviedo che conta sul 20% delle preferenze. Proprio la rivalità tra Lugo e Oviedo (definito da Lugo “un colorado más”) sarà la chiave delle ultime sei settimane dell’accesa campagna che ha già raggiunto un risultato: quelli che vincono sempre questa volta possono perdere.


fonte : gennaro carotenuto

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