E se la crisi alitalia fosse voluta dalle banche e dai suoi camerieri (politici) per spremere soldi pubblici?
Che i temi economici non siano seriamente all’ordine del giorno di questa campagna elettorale lo si capisce seguendo la vicenda Alitalia/Malpensa
Solo proposte elettoralistiche e grandi slogan, Veltroni e Berlusconi si tengono alla larga da una discussione seria sulle politiche economiche strategiche per il paese. Perché in Italia non c’è più una classe dirigente in grado di comprendere gli scenari economici e di mettere sul piatto proposte per affrontarli.
Nel mondo si profila una recessione di enorme portata, la più grave dal dopoguerra ad oggi, dicono autorevoli economisti americani, determinata dalle follie della finanziarizzazione dell’economia globale fondata sul debito e sulla spasmodica ricerca di liquidità. La deregulation è alle corde, la Fed per la prima volta interviene a salvare grandi colossi bancari. La bolla dei mutui subprime, i colossali conflitti d’interesse intercapitalistici, le obbligazioni delle aziende che dall’oggi al domani diventano carta straccia, controllori che si girano dall’altra parte, i piccoli risparmiatori sempre truffati, i grandi manager che si salvano sempre con buone uscite milionarie, i lavoratori obbligati ad usare i fondi pensioni privati, le famiglie costrette ad accendere mutui senza poterli garantire.
In tanti iniziano a capire che non si può andare avanti così. Ma non sanno come uscirne, intrisi come sono della cultura neolibersita.
Veltroni e Berlusconi rispondono a questo scenario con uno spiazzante teorema: arriva la crisi globale, passeremo un periodo difficile. Traduzione: l’economia andrà male nel mondo, ci sarà una crisi gravissima in Italia, ma non sarà colpa nostra. Una posizione difensiva, di chi non si vuol assumere responsabilità, ma soprattutto di chi non sa più che pesci pigliare.
Una volta i liberisti aspettavano le crisi economiche più gravi come una santa manna dal cielo. Perché potevano intervenire con terapie shock, dosi massiccie di neoliberismo, senza incontrare alcuna resistenza, vendendo le loro ricette come le uniche possibili per uscire dalla crisi.
Oggi in Italia, quelli che hanno accettato tutte le compatibilità del mercato, non hanno più nemmeno un progetto (seppure di destra), sono allo sbando. Perché in Italia il capitalismo è talmente malato che vive ormai solo di conflitti d’interesse, intrecci tra aziende e banche, con una logica che porta tutti a stare sul tanto declamato mercato senza assumersi alcun rischio, e scaricando sempre sui lavoratori i costi dei loro danni.
Facciamo qualche esempio? Allora torniamo a Malpensa. Il centrodestra, alfiere del liberismo italiano, ha almeno quattro posizioni diverse. Berlusconi per giorni ha taciuto (conta di più la campagna elettorale), Fini prima apre ad Air France poi fa una mezza marcia indietro, Formigoni propone una moratoria (come se l’imminente fallimento di Alitalia potesse essere messo in pausa), Letizia Moratti (il Comune di Milano è azionista di maggioranza della Sea, la società che gestisce Malpensa) ha chiesto 1,2 miliardi di euro di danni spalleggiata dalla Lega e dal presidente della Sea (Bonomi, leghista, già capo di Alitalia durante il governo Berlusconi, cioè negli anni in cui i conti di Alitalia sono andati a carte quarantotto). Quattro posizioni diverse, molto bipartisan però. A Moratti e Lega il fallimento di Alitalia non interessa, purché si rilanci Malpensa (un progetto folle, nato sbagliato e voluto da loro). Di Pietro, di fatto, sta con Bonomi e con Moratti. Veltroni? Con Air France, ma anche con Malpensa, con Roma, ma anche con Milano.
Avete voluto il libero mercato? Queste sono le conseguenze, verrebbe da dire.
La classe dirigente del paese senza più alcuna visione economica, senza alcun progetto. Tutti a guardare a interessi di bottega, tutti a farne una questione di nord contro Roma, a rilanciare il derby Italia/Francia, a cercare di lasciare il cerino della decisione in mano a qualcun altro perché nessuno si vuole bruciare in campagna elettorale.
E la sinistra? Noi abbiamo posto con forza l’enorme problema occupazionale: quasi ottomila esuberi tra Alitalia e Malpensa. Giusto. Abbiamo anche detto che lo stato potrebbe farsi carico del salvataggio della compagnia di bandiera. Ma la verità è che, giunti a questo punto, una proposta che salvi capra e cavoli (Alitalia, Malpensa e i lavoratori) non ce l’ha nessuno.
Forse potremmo iniziare a ragionare non più sull’italianità delle aziende (che non può essere, per la sinistra, il surrogato della proprietà pubblica), ma su una dimensione europea dei problemi economici, tornando a dire con forza che se la politica rinuncia alla supremazia sull’economia è un danno per tutti e che lo spazio geografico su cui inserire questo ragionamento è quello europeo, non più quello nazionale, sempre proponendo con forza soluzioni alternative al pensiero unico neoliberista.
In Italia, invece, il veltrusconi discute ancora sulla concorrenza tra Roma e Milano. Tutti a rincorrere i deliri della Lega, mentre si distruggono i posti di lavoro e i diritti.
Francesco Francescaglia
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